Santa Maria in Via Lata


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Oratorio Prigione di san Paolo

Crypta

ORATORIO DELLA PRIGIONE DI SAN PAOLO.

Dal 1658 al 1661 interviene la grande trasformazione realizzata da Pietro da Cortona, il quale costruisce l'atrio e la facciata della nuova chiesa, con il loggiato superiore a serliana, al tempo di Papa Alessandro VII (1655-1667);
realizza l'accesso alla Crypta direttamente dall'atrio con due scale simmetriche, per favorire il pellegrinaggio al luogo ritenuto abitazione di San Luca, ospitalità per San Pietro, e soprattutto dimora ove
"fu concesso a Paolo di abitare per suo conto con un soldato di guardia"(Atti 28, 16),
e ove
"Paolo trascorse due anni interi nella casa che aveva preso a pigione e accoglieva tutti quelli che venivano a lui, annunziando il regno di Dio e insegnando le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo, con tutta franchezza e senza impedimento". (Atti 28, 30-31)

Il Papa stesso Alessandro VII inaugura la Crypta nel 1661.

La devozione alla Prigione di Paolo.

Sull'ingresso destro della Crypta, entrando dal portico della Chiesa, un'iscrizione su marmo ricorda:

"Oratorium quond S. Pauli Apost Lucae
Evangelistae et Martialis Mtir in quo
et imago B. Mriae Virginis reperta sistebat
una ex VII a B. Luca depictis"

Oratorio di S. Paolo Apostolo, di Luca
Evangelista e di Marziale Martire, ove
si trovava l'immagine ritrovata della Beata Maria Vergine,
una delle sette dipinte dal Beato Luca.

L'iscrizione, (conosciuta da Aringhi nel 1651), documenta una diffusa devozione ai suddetti martiri, in particolare a Paolo prigioniero e a Luca Evangelista e Iconografo.

Già Andrea Fulvio (erudito umanista ed antiquario romano - in "Antiquaria urbis", nel 1513), ricorda la Crypta come il luogo ove Luca avrebbe scritto gli Atti degli Apostoli, dipinto immagini della Madonna, ospitato Pietro, e accolto Paolo nei due anni di prigionia in Roma.

Il culto basato su questa tradizione viene raffigurato da Cosimo Fancelli (1620-1688), con il bassorilievo dei Santi Pietro, Paolo, Marziale e Luca.

Sulla colonna antica, l'incisione della frase di Paolo (2 Tim 2, 9) VERBUM DEI NON EST ALLIGATUM (la Parola di Dio non è incatenata) conferma tale devozione.

Nel 2010 una ricerca archeologica nel pozzo ha restituito vari oggetti in ceramica e metallo, e la catena di ferro di circa due metri, che era avvolta alla colonna.
Le impronte di ruggine rimaste sulla colonna corrispondono alla forma degli anelli.

Una lettera del 31 luglio 1813 del can. Battaglini al celebre archeologo D. Carlo Fea chiede che non venga rimossa la catena dalla colonna: non ritiene "che siano sacre reliquie ... altrimenti sarebbero state con maggior riguardo ed in miglior sito riposte ...
quelle catene, che pure vi furono poste, cos'altro significano se non che la custodia di un soldato sopra la persona di s. Paolo e che mentre egli era sorvegliato, e come in arresto, predicava liberamente
et Verbum Dei non erat alligatum? Ecco le ottime cose che ricordano ai fedeli e le catene e la colonna ..."

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